venerdì 11 dicembre 2009

100 ANNI FA, IL PREMIO NOBEL A GUGLIELMO MARCONI, ILLUSTRE SCIENZIATO, GRANDE ITALIANO, CONVINTO MONARCHICO

di WALDIMARO FIORENTINO
Cento anni fa, veniva attribuito all'italiano Gugliemo Marconi il Premio Nobel per la Fisica.
Guglielmo Marconi è stato tra i geni che maggiormente abbiano prodotto innovazione nella scienza e nella storia e nella vita dell’Umanità.
Un personaggio che merita di essere conosciuto più da vicino di quanto avviene.
Tappa fondamentale del suo impegno scientifico fu il 12 dicembre 1901, allorché il genio italia­no, per la prima volta varcò l’Oceano Atlantico con le onde sonore, collegando Europa ed Ameri­ca con un segnale radiotele­grafico, trasmesso in alfabeto Morse.
Come si sa, Marconi aveva compiuto i primi esperimenti inizialmente sulle colline nei pressi nella sua villa di Pontecchio, in provincia di Bologna; e, successi­vamente, in Inghilterra.
I primi passi non furono facili, anche per le difficoltà che manifestava nel percorso scolastico; a raccontarlo, fu lui stesso: «Non dimenticherò mai i rimproveri fattimi da mio padre nel 1894 pel cattivo andamento degli studi. A venti anni non avevo ancora ottenuto alcun regolare titolo di studi... Ma mia madre, che aveva compreso la mia passione per la fisica, mi consigliò di andare di tanto in tanto a Bologna a frequentare come uditore la scuola di fisica del prof. Righi. Io non fui mai iscritto regolarmente a tale scuola, ma assistetti ad alcune lezioni di Righi sulla teoria delle onde elettriche ed alle interessanti sue esperienze con apparecchi da lui perfezionati rispetto a quelli ideati da Hertz. Ebbi così modo di completare le cognizioni da apprese in riviste tecniche e nelle lezioni di fisica datemi dal prof. Rosa a Livorno».
Su questo grande personaggio esiste tutta una serie di luoghi comuni assolutamente infondati.
L’aneddotica ci tramanda l’immagine di un Marconi incompreso in Italia, deluso dal suo Paese e ripagato soltanto in Inghilterra patria di sua madre ed alla quale avrebbe manifestato una riconoscenza superiore a quella manifestata per l’Italia. Ma non è così.
Il marchese Luigi Solari, ufficiale di marina e suo più autorevole biografo, in effetti, ci fornisce un immagina assolutamente diversa; a cominciare dalla nazionalità della madre, che non era inglese, ma irlandese; apparteneva alla famiglia Jameson, proprietaria di una fabbrica di wisky, molto prestigiosa anche ai nostri tempi; da giovane possedeva una bella voce di mezzosoprano ed era venuta in Italia per studiare canto; e qui aveva conosciuto il padre di Marconi – di famiglia agiata – che la sposò in seconde nozze, dopo essere rimasto vedovo ed aver perduto un primo figlio.
Da quel matrimonio, nel 1870, nacque Alfonso; ed il 25 aprile 1874, a Bologna, nell’antico palazzo Marescalchi, in via Asse 1170 (poi divenuta via 3 novembre n. 7), venne alla luce Guglielmo Marconi, che battezzato alla religione cattolica, si orientò successivamente a quella protestante.
Nel primo colloquio che Solari ebbe con lo scienziato a Londra, non poté trattenersi dal manifestargli qualche dubbio: «temo che le sue abi­tudini e la sua religione, che sono quelle prevalenti in questo paese, possano attrarla più verso l’Inghilterra che verso l’Italia».
La risposta di Marconi fu molto netta e fugò i dubbi del Solari: «Non tema questo, caro Solari, io sono e sarò sempre italiano e un buon italiano. Del resto la prova del mio forte attaccamento alla mia patria lontana credo di averla data in occasione del mio servizio militare. Io avrei dovuto interrompere le mie esperienze quando stavo preparando la descrizione del mio primo brevetto. Qualche notizia dei risultati da me ottenuti era già trapelata. Quel­la interruzione avrebbe forse deciso di tutto il mio avvenire. I miei parenti britannici mi spingevano ad assumere la cittadinanza britannica. Effettivamente in Inghilterra avevo avuto allora gli aiuti tecnici finanziari necessari. Ma io non mi piegai. Andai dal nostro ambasciatore a Londra, generale Ferrero, e lo pregai di fa­cilitarmi possibilmente il modo di compiere il mio dovere di citta­dino italiano senza interrompere le mie esperienze. Se non vi fosse stato modo di soddisfare la mia aspirazione, sarei stato pronto a rientrare in Italia ed a fare il mio dovere di cittadino. Ma il gene­rale Ferrero che aveva appreso da me come io avessi posseduto per vario tempo una barca da pesca a Livorno regolarmente immatri­colata in quella Capitaneria, trovò modo, d’accordo col ministro della Marina, Benedetto Brin, di farmi iscrivere alla leva di mare e di farmi destinare come marinaio addetto all’Ambasciata d’Italia a Londra. Così ho potuto compiere i miei obblighi militari senza interrompere il mio lavoro scientifico, che spero possa riuscire utile alla nostra Patria».
Il grande scienziato avrebbe successivamente confermato in modo ancora più convincente il proprio forte senso di appartenenza alla patria italiana.
Lo apprendiamo dalla sue stesse parole: «Ritornato in Inghilterra, iniziai un periodo di vita estremamente laborioso nel campo tecnico e nel campo finanziario per fondare ed avviare la grande società che ora porta il mio nome. È stato quello il tempo in cui ho gettato le fondamenta dell’organizzazione mondiale da me creata. Gli inglesi credettero in principio di avere a che fare con un giovanetto di scarsa esperienza e facilmente dominabile. Ma dovet­tero presto accorgersi che ho idee abbastanza chiare anche in affari e che sono fatto per dominare e non per essere dominato. Ed è per ciò che nel costituire la società che ha per scopo lo sfruttamento dei miei brevetti, ho preteso di avere in un primo tempo la maggioran­za del capitale nelle mie mani con azioni di ‘apporto’ e cioè otte­nute in parziale pagamento della mia invenzione. E ciò in aggiunta ad una discreta somma in sonanti lire sterline».
Ed a Solari che gli chiese a mezza voce «Ella apprezza molto il denaro?»
Marconi rispose con decisione: «Sì. Il danaro è un’unità di misura; chi non si fa pagare non sa misurare il prodotto del proprio lavoro. Per parte mia ho fatto e farò sempre valere giustamente le mie invenzioni e sarò più pratico ed avveduto di Meucci, Pacinotti e Galileo Ferraris. La prima compagnia da me fondata a Londra fu in un primo tempo chiamata ‘The Signal Wireless Telegraph Com­pany’, di cui ho assunto la direzione tecnica col diritto di parteci­pare sempre al Consiglio di amministrazione».
Ben differente fu il suo comportamento nei confronti dell’Italia.
A fine gennaio 1902, consegnò allo stesso Solari la seguente lettera: «A S. E. l’Ammiraglio Morin - Ministro della Marina - Roma - Rin­grazio molto cordialmente V. E. per la missione affidata al Tenente di Va­scello Luigi Solari. Egli porta in Italia gli apparecchi più recenti del mio sistema. Spero che la collaborazione ristabilita fra me e la Regia Marina abbia a svilupparsi sempre più. A tale riguardo mi pregio dichiararLe che gli at­tuali miei brevetti potranno essere usati dalla Regia Marina e dal Regio Esercito senza compenso di privativa e che i miei apparecchi potranno essere riprodotti nei Regii Arsenali con la condizione della rispettiva segretezza. De­voti ossequi. Guglielmo Marconi».
Con quella lettera, Marconi aveva donato all’Italia l’uso gratuito di tutte le sue invenzioni, che tutti gli altri Governi – compreso quello inglese – hanno dovuto compensare con somme che Solari definì «ingentissime». Ancora oggi la «Società Marconi» ha capitali e proventi rilevanti, non soltanto in Italia.
Lo stesso Solari fa sapere «La rimanente parte della serata fu passata al Bath Club (Dover Street), dove pranzammo noi due soli con la madre di Marconi. Alla fine del pranzo, Marconi chiese il conto», che volle pagare, commentando, esibendo la ricevuta: «Nove scellini in tre; tre scellini a persona, non è caro; eppure, abbiamo mangiato benissimo. Ricordi che nella vita occorre guadagnare il massimo e spendere il minimo». Ed aveva appena regalato all’Italia una fortuna incalcolabile...
Rappresenta pure un’esagerazione che l’Italia non abbia mai assicurato sostegno tecnico e finanziario. È lo stesso Marconi – attraverso il racconto del Solari – a smentire la versione più diffusa, ma meno veritiera: «Ricordo sempre con piacere e con emozione l’ultimo periodo trascorso in Italia nell’estate del 1897. L’addetto navale a Londra, capitano di vascello Bianco, scrisse ai primi di giugno del 1897 al ministro della Marina, Benedetto Brin, informandolo delle esperienze da me condotte nel Canale di Bristol e della conferenza di Preece. Il ministro Brin rispose telegraficamente, invitandomi a Roma. Aderii subito all’invito. A Roma fui accolto con grande gentilezza. Fu subito organizzata una prova pratica del­l’efficienza dei miei apparecchi nel palazzo di S. Agostino, dove ave­va sede il Ministero della Marina. Furono invitati senatori, deputati, generali, ammiragli e molti ufficiali dell’Esercito e della Marina ad assistere alle mie esperienze, colle quali dovevo corrispondere fra due differenti piani del palazzo della Marina. Le esperienze riusci­rono subito perfettamente, e produssero una grande impressione. L’Associazione Elettrotecnica Italiana mi offri allora un pranzo al ristorante chiamato ‘Pozzo di San Patrizio’. Il giorno seguente mi fu comunicato che Re Umberto e la Regina Margherita avreb­bero desiderato assistere alle mie esperienze. Io le ripetetti al Quirinale. Re Umberto mi strinse con forza la mano e, fissando su di me con la sua abituale espressione di bontà i suoi grandi occhi, mi rivolse parole di congratulazione e di augurio che sono rimaste sempre impresse nella mia memoria. La Regina Margherita volle accordarmi una particolare udienza. Mi fece molte domande che dimostravano la sua grande cultura, della quale rimasi profonda­mente impressionato. Da Roma mi recai a La Spezia per eseguire a bordo della R. N. San Martino le note esperienze con le quali raggiun­si per la prima volta la distanza di 18 km. circa».
Successivamente, il governo italiano mise a disposizione di Marconi, per i suoi esperimenti, l’incrociatore «Carlo Alberto» e poi ancora altre unità di marina, sino a quando il nostro scienziato non si attrezzò con il suo panfilo «Elettra».
Con i reali inglesi, Marconi non ebbe sempre rapporti felici. Ebbe addirittura uno scontro con la regina Vittoria. Più cordiali i rapporti con il successore Edoardo VII.
Ma con i Savoia, i suoi rapporti furono addirittura affettuosi; soprattutto con Vittorio Emanuele III, del quale Marconi ammirava la grande cultura. Il Sovrano aveva dato vita al «Corpus Nummorum Italicorum», raccolta di 120 mila monete delle coniazioni di tutta Italia, dal Medioevo all’età moderna, che Vittorio Emanuele III commentò in un’opera in 20 volumi, definita da Marconi «opera di sempre maggiore orgoglio per ogni italiano, il quale vede in essa documentata la figura di un Re scienziato ed esemplare, di un autentico, grande studioso».
Tra i due nacque un rapporto di reciproca, sincera stima. Il Sovrano invitò ed ebbe spesso ospite lo scienziato; tra l’altro anche a Racconigi; e tenne a portarlo con sé nei primi importanti viaggi dei suoi primi anni di Regno e tenne a presentarlo a Berlino a Guglielmo II ed a Tsarkoie Selo a Nicola II di Russia, i quali insignirono lo scienziato di prestigiose onorificenze dei rispettivi Paesi.
A Poldhu, in Inghilterra, Guglielmo Marconi aveva installato una stazione sperimentale ed a quella stazione l’8 settembre, impartì l’ordine: «La stazione di Poldhu dovrà trasmettere alle 2 a. m. un messaggio di­retto a S. M. il Re. Sarà il primo radiotelegramma ufficiale tra­smesso attraverso il continente europeo».
Il messaggio, indirizzato a Vittorio Emanuele III, venne ricevuto il 9 settembre dalla «Carlo Alberto».
Al Re d’Italia, Marconi inviò anche il primo messaggio intercontinentale. A raccontarlo fu lo stesso Solari, nella biografia citata: «“Ed ora, mentre tutti questi nostri amici sono occupati nelle loro incombenze, io trasmetto personalmente il primo messaggio diretto al nostro Re. Ella mi stia vicino, poiché Lei solo comprende ciò che sento come italiano in questo momento”. E Marconi, con mano nervosa ma con ritmo sicuro, cominciò ad abbassare ed alzare la leva di legno che comandava la trasmis­sione. Egli teneva con la mano sinistra di fronte agli occhi il fo­glietto di carta sul quale era scritto di suo pugno il messaggio, che diceva: “Generale Brusati - Roma - In occasione della prima trasmissione radiotelegrafica transatlantica, che collega attraverso lo spazio il nuovo col vecchio mondo, desidero porgere i miei più devoti omaggi a Sua Maestà il Re - Guglielmo Marconi”.
Egli ripetette due volte la trasmissione di tale messaggio, poiché, essendo in lingua italiana, occorreva dare modo alla stazione rice­vente (Poldhu) di controllarne l’esattezza.
Ciò fatto chiamò uno dei suoi assistenti inglesi e, porgendogli un foglio,di carta scritto in inglese, gli disse:
“Vi prego di trasmettere chiaramente questo messaggio diretto a S. M, il Re d’Inghilterra”.
Tali messaggi giunsero nelle prime ore del 21 dicembre 1902. Il Re d’Italia, che, come è noto, è sempre mattiniero, ricevette il mes­saggio di buon mattino e rispose subito personalmente col seguente telegramma: “Guglielmo Marconi - Glace Bay - Apprendo con vivissi­mo piacere grande risultato ottenuto che costituisce un nuovo trionfo a mag­gior gloria della scienza italiana – aff.mo Vittorio Emanuele”.
Il Re d’Inghilterra fece rispondere dal suo primo aiutante con un cordiale messaggio di felicitazioni ricordando anche che S. M. bri­tannica aveva seguito i primi esperimenti di Marconi nel 1898 a bordo del suo yacht Osborne».
Ma facciamo un passo indietro.
Con l’impresa del 12 dicem­bre 1901, lo scienziato italia­no aveva dato vita alla telegra­fia senza fili. Il «New York Ti­mes», che per primo diede al mondo la clamorosa notizia, scrisse: «Guglielmo Marconi ha annunciato stasera la più meravigliosa conquista scien­tifica dei tempi moderni». E l’entusiasmo dell’importante quotidiano statunitense non era affatto fuori luogo; non si poteva ancora parlare di radio, così come noi oggi la cono­sciamo, ma le premesse era state gettate per la nascita di un apparecchio tra i più utiliz­zati dall’umanità intera da 100 anni a questa parte.
Perché si potesse giungere alla radio si dovettero attende­re, infatti, soltanto cinque anni (26 dicembre 1906), dopo che vennero inventate le valvole da Ambrose Fleming e Lee De Forest, che consentirono, nel Massachusetts (Usa), l’esperi­mento con il quale Reginal A. Fessenden riusciva a realizza­re la prima trasmissione con l’emissione di voce e musica.
Guglielmo Marconi realizzò il suo primo apparecchio con un’antenna costituita da una lastra di latta ricavata da un bidone da petrolio per lume. Poco dopo fabbricò il primo «detector» magnetico, utilizzando una scatola per sigari.
Due parole soltanto, per spiegare il termine «detector», che viene ritenuto inglese o americano. Ad onta della pronuncia con la quale normalmente lo si legge, non è né uno, né l’altro; è latino; tardo latino, per l’esattezza. Deriva da «detectus», participio passato di «detegere», ossia «scoprire»; e da questo verbo deriva anche «detective».
Gustavo Colonnetti ricorda che, grazie alla radio ed a Marconi, «migliaia di vite umane sono state salvate in tragiche circostanze là, dove nessun altro mezzo di comunicazione sarebbe mai stato possibile impiegare per chiede soccorso a distanza. ‘Ti dobbiamo la vita’ gli gridarono i più che mille superstiti del pauroso naufragio del ‘Titanic’, radunatisi nel 1912 sotto le finestre del palazzo che ospitava Marconi».
Nel 1909, all’età di soli 35 anni, Marconi venne insignito del Premio Nobel per la fisica.
Guglielmo Marconi non è soltanto il «padre della ra­dio»; nel 1916, infatti, spinto dalle impellenti esigenze del­la prima guerra mondiale, alla quale partecipò da volontario come tenente del Genio, ave­va avviato studi per individua­re la presenza e l’avvicinarsi di corpi mobili; erano i pro­dromi dell’invenzione del ra­dar, studi che sarebbero stati sviluppati anche dall’ufficiale di Marina Ugo Tiberio. Più tardi, sempre sfruttan­do il principio della «frequen­za ottica», Marconi avrebbe gettato le basi per la nascita della tele­visione.
Innumerevoli le conquiste scientifiche realizzate dallo scienziato italiano; tra le più spettacolari, fu certamente quella posta in atto il 30 mar­zo 1930, quando, da bordo del suo yacht-laboratorio «Elet­tra» ancorato nel porto di Genova, dimostrò, alla presen­za dei più qualificati rappre­sentanti della stampa mondia­le, che anche da una nave di modeste dimensioni di 800 tonnellate, era in grado, con i nuovi apparecchi da lui perfe­zionati, di porsi in comunica­zione con le più lontane sta­zioni radiotelegrafiche e di scambiare, senza preavviso, conversazioni con qualsiasi abbonato della rete telefonica a loro collegata; una possibi­lità sino ad allora consentita - e non sempre agevolmente - da postazioni a terra. In quel­la stessa circostanza, Marco­ni, con una lieve emissione di onde, comandava l’accensio­ne delle lampade di illumina­zione del municipio di Syd­ney, in Australia, nel giorno in cui, in quella città, dell’inau­gurazione dell’Esposizione dell’elettricità.
Sei mesi più tardi, lo scien­ziato prese parte al 19° Con­gresso della «Società italiana per il progresso delle scien­ze», che si svolse a Bolzano dal 7 all’11 settembre ed a Trento dall’11 al 15 dello stes­so mese; e tenne il discorso inaugurale della sessione tren­tina, giovedì 11 settembre 1930, al «Teatro sociale» con una relazione sul tema «Feno­meni accompagnanti le radio­trasmissioni». Fu una relazio­ne memorabile, densa di dati e di annunci di valore epoca­le; parlò di «onde cosiddette corte, impiegate per la radio­telegrafia» che «potevano, in certe circostanze, attraversa­re lo spazio di Heaviside ed emergere negli spazi interpla­netari»; illustrò esperimenti riguardanti la «maggiore o minore brevità dell’intervallo intercorso fra la trasmissione del segnale e la percezione dell’eco» e di «indicazioni dei radiogoniometri che rivelano con precisione la direzione di provenienza delle onde» (ra­dar), delle applicazioni delle onde cortissime.
Impartì una grossa lezione di umiltà, rendendo omaggio a tutti coloro che, con i loro studi, avevano reso più spedi­to il corso delle sue scoperte ed invenzioni.
Ma, soprattutto, in un’epo­ca nel quale il mondo era affascinato dalle dottrine totalitarie e dalle avventure belliciste, ebbe il coraggio di «va­ticinare» che la radio, renden­do libera la comunicazione e la circolazione delle idee e della cultura dal vincolo dei confini, sarebbe divenuto stru­mento di pace, malgrado i ten­tativi di uso «perverso» da parte di poteri negativi.
Leggete come Guglielmo Marconi concluse il proprio discorso tenuto a Trento: «...per mezzo delle onde elettriche, l’umanità non solo ha a sua disposizione un nuovo e poten­te mezzo di ricerca scientifica, ma sta conquistando una nuo­va forza e utilizzando una nuo­va arma di civiltà e di progres­so che non conosce frontiere e può perfino spingersi negli spazi infiniti ove mai prima di ora, forse, è potuto penetrare il palpito o una qualsiasi ma­nifestazione dell’attività e del pensiero dell’uomo.
Questa nuova forza, la qua­le sta prendendo una parte sempre più decisiva nella evo­luzione della civiltà umana, è certo destinata al bene gene­rale col promuovere la recipro­ca conoscenza tra i popoli, favorendo in tal modo la pace, permettendoci di sempre più soddisfare un desiderio essen­zialmente umano, quello, cioè, di poter comunicare fra di noi con facilità e rapidità, annien­tando quell’elemento potente di separazione che si chiama distanza»
.
Cinque mesi più tardi, il 12 febbraio 1931, dunque circa 75 anni fa, Marconi – che, pure, si era molto avvicinato alla religione protestante – inaugurava la sta­zione radiotelegrafica ad onde corte della Città del Vaticano, costruita sotto la sua personale sorveglianza; ed il Pontefice Pio XI leggeva al microfono un’allocuzione diretta ai Popoli di tutto il mondo; e la parola di pace poté essere udita contem­poraneamente in tutti e cinque i Continenti. Il vaticinio del grande italiano vedeva la sua realizzazione.
In una successiva circostanza – mentre si affacciavano i tragici incubi del nazismo, che avrebbe incendio il mondo e creato sgomento nell’umanità – Guglielmo Marconi avrebbe, sulla sua invenzione, ribadito il concetto espresso nella nostra regione: «La radio deve servire in tempo di pace ad opere di progresso e di bene delle genti. Essa deve servire in guerra al trionfo della giustizia e alla difesa dell’Umanità».
Un grande Uomo, prima ancora che un grande scienziato!
L’Italia onorò uno dei suoi figli più eccelsi ed amati, conferendogli nel 1902 l’onorificenza di Cavaliere del lavoro, chia­mandolo a far parte del Sena­to del Regno (già nel 1914) e assegnandoli tanto la presi­denza della «Reale Accademia d’Italia» che della «Società italiana per il progresso delle scienze» e del «Consiglio na­zionale delle ricerche»; gli venne anche affidata la cattedra di Onde elettromagnetiche all’Università di Roma e gli furono conferite 15 lauree da Università di dieci diversi Paesi.
Vitto­rio Emanuele III gli conferì nel 1912 il titolo di cavaliere di gran croce dell’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e nel 1920 quello di marchese; e lo incari­cò anche di rappresentare il nostro Paese in importanti missioni internazionali, tra l’altro anche di Ambasciatore negli Stati Uniti e di compo­nente della Missione italiana alla Conferenza per la pace a Versailles; e non poteva esser­ci rappresentanza più presti­giosa; ma riconoscimenti im­portanti gli vennero da quasi tutti i Paesi, persino da Giap­pone, Manciuria e Cina, non­ché dalle Accademie scienti­fiche del mondo intero; nel 1933, gli Stati Uniti d’America decretarono che il 2 ottobre venisse definito «Marconi’s day»; un primo «Marconi’s Day» si era già celebrato il 12 dicembre 1931, ricordando il 30° anno della prima Trasmissione transatlantica.
L’Inghilterra cercò di lusingarlo, come raccontò lo stesso Marconi al solito Solari: «mi fu detto da un personaggio molto influente che sarei stato fatto subito baronetto, se avessi assunto la cittadinanza britannica. Ella può immaginare quale sia stata la mia risposta. Io apprezzo la Gran Bretagna ed il suo popolo; ma sono nato italiano e resterò sempre tale. E se un giorno mi sposerò, farò in modo che i miei figli nascano in Italia».
Dal re di Inghilterra, in ogni caso, si vide assegnare il titolo di cavaliere di Gran Croce del Royal Victorian Order, peraltro non sollecitato, e per il quale poteva essere chiamato sir Guglielmo o sir William.
Guglielmo Marconi non fu solo grande scienziato; aveva anche una profonda cultura umanistica ed una grande sensibilità artistica. Suonava molto bene il pianoforte; prediligeva eseguire l’intermezzo della «Cavalleria rusticana».
Era amico dei più illustri uomini di cultura dell’epoca; tra questi Gabriele D’Annunzio, forse il poeta più alla moda in quegli anni, il quale gli indirizzava enfatiche lettere traboccanti di ammirazione e di devozione, sollecitando attenzione, come accadde nel giugno 1931: «Mio carissimo Guglielmo, io vivo – di giorno e di notte – nel tuo genio etereo e per tua virtù condenso gli spazii nel mio cervello. Ma tu mi hai dimenticato».
Marconi era anche uomo di tale rigore morale, da non chinare il capo neppure dinanzi a Mussolini, al quale, il 12 ottobre 1923, non ebbe timore di inviare una severa missiva, nella quale si legge, tra l’altro:
«Eccellenza,
Ho letto la convenzione già stipulata fra il Governo e la Società Italo-radio consegnatami da S. E. il ministro delle Poste e Telegrafi.
Sono dolente di non poter in alcun modo aderire all’invito del R. Governo di accettare io la Presidenza della suddetta Società, e ciò per i motivi seguenti che sono solo fra i principali.
Gli oneri imposti dal Governo ed accettati dai fondatori della Società (te­deschi e francesi) sono tali che anche con la partecipazione mia e della Com­pagnia Marconi essi non potranno essere soddisfatti: perciò gli italiani che sottoscrivessero il capitale della Italo-radio correrebbero grave rischio (che a me pare certezza) di perderlo completamente.
Non potrei mai, neppure per invito del R. Governo prestare il mio nome e la mia influenza per facilitare la sottoscrizione di un ingente capitale da parte di cittadini italiani conoscendo io il grave rischio che correrebbe tale capitale in virtù delle irrealizzabili condizioni, contenute nella convenzione.
Ritengo che l’unico profitto del contraente esiste per le Società tedesche e francesi che trarranno grande vantaggio e lucro a spese degli azionisti ita­liani con l’importazione in Italia di costoso materiale di tipo ormai sorpas­sato e per il quale non viene neppure precisato il prezzo lasciato da fissare all’arbitrio dei fondatori (la suddetta Società tedesca é incoraggiata e spinta dal rispettivo Governo per scopi politici più o meno legittimi).
È col più vivo dolore che, dopo 2,5 anni di rapporti intimi ed amichevoli col Governo del mio paese, debbo vedere l’esercizio della radiotelegrafia pas­sare nelle mani di una Società costituita da filiali delle Società tedesche e francesi, che non furono in alcun modo le iniziatrici della Radiotelegrafia pratica, e che nel passato, per quanto riguarda le tedesche, ostacolarono in ogni maniera lo sviluppo della mia invenzione»
.
Ancora più coraggioso si dimostrò all’epoca della guerra d’Etiopia, allorché fu protagonista di una vicenda di grande importanza storica, assolutamente ignorata dagli storici.
Una parte della grande flotta inglese, The Great Fleet, concentrata a Gibilterra doveva partire per Alessandria d’Egitto col probabile proposito di fermare le navi italiane dirette nel Mar Rosso per il tra­sporto di truppe e rifornimenti per la guerra contro l’Etiopia; e Mussolini era deciso ad impartire alle nostre unità l’ordine di attaccare la flotta inglese nel Canale di Malta con sottomarini ed aeroplani.
Solari scrisse che Marconi gli riferì di essersi recato dal capo del governo e di averlo investito con severità, come riferì poi al Solari: «Mussolini non conosce la forza della Gran Bretagna e non valuta il pericolo mortale per l’Italia di una guerra con questo Paese. Chi conosce la forza dell’Inghilterra e la necessità assoluta, per l’Italia, delle più amichevoli relazioni con l’Inghilterra è il Re. So che il Re ha fatto conoscere a Mussolini il suo pensiero decisamente contrario ad ogni atto di ostilità all’Inghilterra. Ma Mussolini è capace di compiere un colpo di testa. Io però ho parlato chiaro a Mussolini: ‘Provocare una guerra contro la Gran Bretagna sarebbe una vera pazzia (gli ho detto con forza). Se ciò avvenisse, debbo dichiararle con fermezza che mi schiererei apertamente contro di Lei in Senato’. Queste mie parole hanno avuto un grande effetto su Mussolini, che rimase in silenzio fissandomi negli occhi. Io feci altrettanto col solo occhio che posseggo, dimostrando una ferrea fermezza senza proferire parola. Dopo qualche istante Mussolini disse: ‘Certamente voi conoscete l’Inghilterra meglio di me. Accetto il vostro consiglio di non compiere per primo alcuna azione militare contro l’Inghil­terra’».
Solari concluse il suo racconto con queste parole: «E così la guerra italo-inglese fu evitata nel 1935 grazie a Marconi».
Fosse vissuto ancora qualche anno, quanti guai sarebbero stati risparmiati all’Italia...
Invece, purtroppo, si spense a Roma, come abbiamo visto, il 20 luglio 1937; e la sua dipartita, di poco preceduta da quella dell’altro grande fisico italiano Orso Mario Corbino (Roma, 23 gennaio 1937), furono tra le cause che indussero Enrico Fermi a partire per gli Stati Uniti d’America. Marconi e Corbino, infatti, erano le poche autorevoli figure che, sino a quel momento, erano riuscite ad assicurare alla scuola dei «ragazzi di via Panisperna», i fondi necessari; risorse che, dal 1938, vennero sottratti alla scienza pura, per essere dirottati verso le spese militari.
Guglielmo Marconi aveva dedicato i suoi ultimi anni all’Italia, interessato nel campo avanzato delle onde elettromagnetiche, microonde, radiolocalizzazione ed applicazioni mediche (Marconiterapia).
Il giorno dopo la sua morte, ad ora convenuta, le stazioni radio di tutto il mondo interruppero le loro trasmissioni per due minuti, in memoria dell’uomo le cui istituzioni ed invenzioni, conquistando l’etere, avevano annullato le distanze tra i continenti.
E, con legge 28 marzo 1938, n. 276 (inspiegabilmente soppressa dopo la seconda guerra mondiale), il 25 aprile, anniversa­rio della sua nascita (1874), venne dichiarato «giorno di solennità civile». Anche oggi quel giorno é celebrato come festa nazionale; quella della li­berazione. E nessuno, più di Marconi, contribuì alla libera­zione... dell’umanità intera, dalle catene del silenzio, del­la disinformazione e della so­litudine.
Francesco Savorgnan di Brazzà, con un pizzico di en­fasi peraltro giustificata dalla statura dei destinatari, scrisse: «Cristoforo Colombo scoprì all’orizzonte i confini di un Nuovo Mondo. Guglielmo Marconi ha tolto all’orizzonte i suoi confini. Due uomini, due epoche, il soffio animatore di una stessa anima: quella ita­liana».
La nostra anima, che Guglielmo Marconi interpretò mirabilmente e della quale noi abbiamo ragione di dimostrarci orgogliosi; anche se non possiamo fare a meno di registrare con amarezza che, mentre la cinematografia di altri paesi ha dedicato pellicole a scienziati assai più modesti del nostro, produttori e registi italiani, così prolifici di banalità e denunce non abbiamo mai riservato attenzione ad un genio che merita di essere additato ad esempio.

100 ANNI FA, IL PREMIO NOBEL A GUGLIELMO MARCONI

100 ANNI FA, IL PREMIO NOBEL A GUGLIELMO MARCONI

martedì 26 maggio 2009

lunedì 26 gennaio 2009

EMANUELE FILIBERTO CONFERIRA' LA CROCE D'ORO AL MERITO DI SAVOIA AGLI ULTIMI SEI CORAZZIERI REALI: “SONO UN PEZZO DI STORIA”

Messi insieme hanno oltre 500 anni di età, ma i loro ricordi restano quelli indelebili della giovinezza. Sono gli ultimi Corazzieri del Regno d’Italia: prestarono servizio con Re Vittorio Emanuele III e Re Umberto II che salutarono commossi mentre diceva addio a loro e alla sua terra. Testimone e insieme protagonista di un’epoca lontana, questo manipolo di superstiti d’eccezione si riunirà mercoledì 28 gennaio in Roma per ricevere dalle mani del Principe Emanuele Filiberto di Savoia le Croci d'Oro al Merito di Casa Savoia che S.A.R. il Principe Vittorio Emanuele, Capo della Casa Reale, ha conferito loro in segno di riconoscimento del prezioso servizio reso a ques’ultima e al Paese.
Come accennato, la cerimonia sarà presieduta dal Principe Emanuele Filiberto di Savoia che ha dichiarato: "E' con una certa emozione che mi accingo ad incontrare questi sei Corazzieri. Essi sono indubbiamente un pezzo di storia, a livello personale essi rappresentano anche un legame sentimentale con mio nonno Re Umberto II e con mia nonna la Regina Maria Josè. Ricordo molto bene i racconti dei miei nonni e del legame d'affetto che si era instaurato con i Corazzieri tanto da mantenere con essi un rapporto di costante simpatia anche durante gli anni dell'esilio. Ad esempio il Corazziere Attilio Brentegani, veronese, intrattenne una fitta corrispondenza con mio nonno Re Umberto II, ed è a conoscenza di dettagli importanti relativamente a quanto accadde al Quirinale durante la Guerra. Mi disse subito "Guardi Altezza, il Re non scappò! Io ero presente!", il Corazziere Giulio Biasin, veneziano, invece lo ebbe con la Regina Maria Josè tanto da farle da accompagnatore durante le sue visite a Venezia. Il conferire la Croce d'Oro al Merito è un modo per ricambiare il legame affettuoso che esiste con queste persone che rimangono sempre nel cuore di Casa Savoia".
I Corazzieri hanno un legame antico e profondo con Casa Savoia: furono fondati nella seconda metà del XVI secolo dal Duca di Savoia Emanuele Filiberto "Testa di Ferro" che costituì, con un gruppo di cinquanta fedelissimi soldati, la "Guardia d'Onore del Principe". Successivamente questo corpo è cresciuto diventando particolarmente importante dopo la fondazione dei Carabinieri nel 1814 da parte di Vittorio Emanuele I; l'attuale conformazione venne stabilita in occasione delle nozze tra Re Umberto I e la Regina Margherita nel 1868. Indossavano la stessa uniforme delle nozze del 1842, tra Re Vittorio Emanuele II e Maria Adelaide, ma questa volta il reparto non venne sciolto: ad esso furono affidati compiti di sorveglianza degli appartamenti reali e di protezione dei sovrani. Nascevano così i moderni Corazzie ri, con un organico che prevedeva in origine un capitano comandante, 4 ufficiali, 9 sottufficiali (presto elevati a 12) e 69 carabinieri (poi 88).
Numerose furono, nei primi anni di vita, le denominazioni del Reparto: "Guardie d'Onore di Sua Maestà", "Carabinieri Reali Guardie del Corpo di Sua Maestà", "Drappello Guardie di Sua Maestà" e, fino al 1946, "Squadrone Carabinieri del Re". Ma si andava già consolidando nella gente il più familiare appellativo di "Corazzieri" che proviene proprio dalla particolare divisa con corazza lucida e copricapo.
I Corazzieri che riceveranno l'Onorificenza Sabauda sono: M.M.A Attilio Brentegani (Verona), Giulio Biasin (Venezia), Attilio Tonetto (Treviso), M.O. Venazio d'Ubaldo (Vejano), Ferdinando Giannantoni e Marco Collettini (Roma).

EMANUELE FILIBERTO CONFERIRA' LA CROCE D'ORO AL MERITO DI SAVOIA AGLI ULTIMI SEI CORAZZIERI REALI: “SONO UN PEZZO DI STORIA”

Messi insieme hanno oltre 500 anni di età, ma i loro ricordi restano quelli indelebili della giovinezza. Sono gli ultimi Corazzieri del Regno d’Italia: prestarono servizio con Re Vittorio Emanuele III e Re Umberto II che salutarono commossi mentre diceva addio a loro e alla sua terra. Testimone e insieme protagonista di un’epoca lontana, questo manipolo di superstiti d’eccezione si riunirà mercoledì 28 gennaio in Roma per ricevere dalle mani del Principe Emanuele Filiberto di Savoia le Croci d'Oro al Merito di Casa Savoia che S.A.R. il Principe Vittorio Emanuele, Capo della Casa Reale, ha conferito loro in segno di riconoscimento del prezioso servizio reso a ques’ultima e al Paese.
Come accennato, la cerimonia sarà presieduta dal Principe Emanuele Filiberto di Savoia che ha dichiarato: "E' con una certa emozione che mi accingo ad incontrare questi sei Corazzieri. Essi sono indubbiamente un pezzo di storia, a livello personale essi rappresentano anche un legame sentimentale con mio nonno Re Umberto II e con mia nonna la Regina Maria Josè. Ricordo molto bene i racconti dei miei nonni e del legame d'affetto che si era instaurato con i Corazzieri tanto da mantenere con essi un rapporto di costante simpatia anche durante gli anni dell'esilio. Ad esempio il Corazziere Attilio Brentegani, veronese, intrattenne una fitta corrispondenza con mio nonno Re Umberto II, ed è a conoscenza di dettagli importanti relativamente a quanto accadde al Quirinale durante la Guerra. Mi disse subito "Guardi Altezza, il Re non scappò! Io ero presente!", il Corazziere Giulio Biasin, veneziano, invece lo ebbe con la Regina Maria Josè tanto da farle da accompagnatore durante le sue visite a Venezia. Il conferire la Croce d'Oro al Merito è un modo per ricambiare il legame affettuoso che esiste con queste persone che rimangono sempre nel cuore di Casa Savoia".
I Corazzieri hanno un legame antico e profondo con Casa Savoia: furono fondati nella seconda metà del XVI secolo dal Duca di Savoia Emanuele Filiberto "Testa di Ferro" che costituì, con un gruppo di cinquanta fedelissimi soldati, la "Guardia d'Onore del Principe". Successivamente questo corpo è cresciuto diventando particolarmente importante dopo la fondazione dei Carabinieri nel 1814 da parte di Vittorio Emanuele I; l'attuale conformazione venne stabilita in occasione delle nozze tra Re Umberto I e la Regina Margherita nel 1868. Indossavano la stessa uniforme delle nozze del 1842, tra Re Vittorio Emanuele II e Maria Adelaide, ma questa volta il reparto non venne sciolto: ad esso furono affidati compiti di sorveglianza degli appartamenti reali e di protezione dei sovrani. Nascevano così i moderni Corazzie ri, con un organico che prevedeva in origine un capitano comandante, 4 ufficiali, 9 sottufficiali (presto elevati a 12) e 69 carabinieri (poi 88).
Numerose furono, nei primi anni di vita, le denominazioni del Reparto: "Guardie d'Onore di Sua Maestà", "Carabinieri Reali Guardie del Corpo di Sua Maestà", "Drappello Guardie di Sua Maestà" e, fino al 1946, "Squadrone Carabinieri del Re". Ma si andava già consolidando nella gente il più familiare appellativo di "Corazzieri" che proviene proprio dalla particolare divisa con corazza lucida e copricapo.
I Corazzieri che riceveranno l'Onorificenza Sabauda sono: M.M.A Attilio Brentegani (Verona), Giulio Biasin (Venezia), Attilio Tonetto (Treviso), M.O. Venazio d'Ubaldo (Vejano), Ferdinando Giannantoni e Marco Collettini (Roma).